Le spoglie scomparse

Parallelamente alla ristrutturazione delle sue dimore di Malpaga e Martinengo – il castello e la Casa del Capitano, in realtà destinata alla sua famiglia- , alla ricostruzione in chiave tardogotica della chiesa dell’Addolorata di Mornico al Serio, all’edificazione ex novo di due conventi a Martinengo e del castello di Palosco e a molti altri interventi edilizi nei suoi possedimenti bergamaschi, Bartolomeo Colleoni nel 1470 commissiona all’architetto Giovanni Antonio Amadeo un ultimo edificio: la sua cappella funebre. Uno dei monumenti più belli di Bergamo, dall’inconfondibile facciata lavoratissima in marmo bianco e rosso, che avrebbe dovuto custodire le sue spoglie e quelle della figlia prediletta, Medea, in realtà traslata lì solo nel 1842 dal Santuario della Basella di Urgnano.
Così, agli inizi del novembre 1475, il lungo corteo funebre del condottiero attraversa la città di Bergamo. Meta la basilica di Santa Maria Maggiore, dove la salma rimarrà esposta per tre giorni prima di essere tumulata nel mausoleo, nell’arca scolpita dall’Amadeo e sormontata dal 1501 dalla statua equestre in legno dorato.  

Tuttavia…

Il 23 settembre 1913 re Vittorio Emanuele III è in visita a Bergamo. Nella Cappella Colleoni chiede se il condottiero sia seppellito nell’arca superiore o inferiore. Alla domanda segue un imbarazzato silenzio: del funerale del Colleoni si ha il dettagliato resoconto dell’inviato veneziano Zohane de Zanchi, che registra scrupolosamente tutte le fasi delle esequie, dalla vestizione (vesti preziose, berretto “capitanesco”, spada, bastone del comando) alla tumulazione. Non ci sono quindi mai stati dubbi sulla collocazione della salma. Ma il corpo non si trova. Impaziente il re esclama: “Allora trovatelo!”. 
Per svariati decenni le ricerche non portano a nulla. Nel 1950 su sollecitazione del priore di Santa Maria Maggiore mons. Locatelli, si scava sotto la basilica. L’esultanza è massima quando viene rinvenuto uno scheletro. Pazienza che la statura non coincida con quella tramandata dalle fonti (quasi 2 m), la spada sia in legno e l’arca altomedievale. Deve essere lui. Ma nel ’56 arriva la bruciante smentita della commissione istituita dal Ministero della Pubblica Istruzione. 

Nel 1969 il nuovo priore del Duomo, Angelo Melli, spinge a indagare ancora una volta nella Cappella, ma questa volta nell’arca inferiore. In un primo momento non si trova nulla; ma poi, dopo ulteriori insistenze da parte di Melli, ci si accorge che quello che è sempre stato creduto il fondo dell’arca è in realtà un sigillo di calce, frantumato il quale si trova il coperchio di una cassa semplicissima in legno di pero. Il 21 novembre, in chissà quale clima di eccitazione, la si apre: c’è uno scheletro. Proporzioni e corredo corrispondono a quanto riportano le fonti; e sopra ogni cosa vi è un epitaffio, inciso su piombo, inneggiante a Bartolomeo Colleoni “condottiero invitto della Illustrissima Signoria Veneta”
Tra l’entusiasmo generale avrà certo contrastato la compostezza del priore Melli, il quale pare abbia commentato, calmissimo: “Io avevo sempre saputo che era lì”.

Per la buona pace di Venezia dunque il Colleoni e la sua bara erano sempre stati lì dove il suo emissario aveva indicato. Sfortunatamente non si può dire lo stesso del corredo originario: date le pessime condizioni in cui è stato ritrovato quello posto nella bara si è ipotizzato che qualcuno lo avesse sostituito con pezzi meno pregiati…

Il disegno mostra la sezione dell’arca inferiore ove venne inserita la bara del Colleoni. Fonte: https:/www.bergamodascoprire.it/

 

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