Raccontando la storia della bassa bergamasca capita frequentemente di accennare al Fosso bergamasco, indicandolo come linea di confine senza scendere in ulteriori particolari. In realtà ha giocato un ruolo estremamente importante per le popolazioni che vi vivevano intorno. In epoca di penuria da esso dipendeva addirittura la loro sopravvivenza perché lasciava passare… i contrabbandieri.
Lungo trentacinque chilometri, largo cinque e profondo altrettanti: lontano quindi dalla definizione di fosso comunemente inteso. E’ stato più correttamente un fossato difensivo, dal Medioevo fino al termine dell’età moderna, abbandonato all’inizio dell’Ottocento.
La costruzione del fosso venne avviata probabilmente tra l’inizio del XIII e l’inizio del XIV secolo, recuperando un antico canale romano in gran parte interrato, noto col nome di Circa di Cortenuova. Quello che verrà poi propriamente conosciuto come “Fosso bergamasco” venne scavato dal 1267, secondo fonti dal 9 marzo, in seguito a un accordo tra i Comuni di Bergamo e Cremona, al fine di tracciare i rispettivi confini, spesso resi incerti da eventi atmosferici o dalle nebbie della bassa pianura – complici anche di nascondere i rifugi di banditi e contrabbandieri- oltre che dal frazionamento delle terre tra i rami dei conti palatini di Bergamo. Tuttavia la sua importanza divenne veramente rilevante solo dopo la Pace di Lodi del 1454, quando assunse il nome ufficiale di Fossatum Bergamaschum e divenne a tutti gli effetti la linea di confine tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano.
Il suo tracciato partiva infatti dal fiume Adda in località Capiate, attraversava il fiume Brembo presso il paese di Brembate, per proseguire nei comuni di Canonica, Boltiere, Arcene, Lurano, Spirano, per poi buttarsi nel fiume Serio a Cologno al Serio; riusciva presso Romano di Lombardia e raggiungeva Isso e Covo, e dopo aver superato Cortenuova concludeva la sua corsa nel fiume Oglio, confine naturale tra la provincia orobica e quella bresciana, tra i comuni di Calcio e Cividate.
Ancora oggi in alcuni tratti sono presenti cartelli che ricordano l’antico confine.
Comunque già dal 1428, anno della prima, fragile pace tra Venezia e Milano, al 1796 la legittimità, la genuinità e il rispetto dei confini erano costantemente controllati attraverso ispezioni periodiche attuate da ambo le parti: lungo il percorso sono tutt’oggi visibili o riconoscibili torri di avvistamento, castelli, posti e uomini di guardia nei punti di transito.Un decreto del governo veneto del 1723 rese obbligatori controlli periodici. Venivano ispezionati passanti e merci di passaggio e, soprattutto, si combatteva il contrabbando –almeno fino a un certo punto come si dirà più avanti.
Vennero inoltre allestiti piccoli accampamenti militari, utilizzati anche come deposito di dispense alimentari e sanitarie: i principali si trovavano presso la cascina Mottella, nel territorio di Cividate, quasi alla confluenza con il fiume Oglio, tra Romano di Lombardia e Covo, tra Caravaggio e Bariano, tra Cologno e Brignano.
Nel 1570 vennero posati di due cippi di pietra, uno presso l’Oglio, vicino al lavello di Calcio, e l’altro sulla sponda sinistra dell’Adda, a rafforzare la segnalazione dei confini. Tra il 1754 e il 1756 ne furono posizionatialtri. Nel 1801, con l’aggregazione delle due aree della Bassa Bergamasca a sud del suo corso (la Calciana e la Geradadda) al Dipartimento del Serio, il Fosso esaurì il suo compito.
Se in virtù del venir meno di confini politici tra queste province l’importanza militare del fosso si perse, è ancora possibile rintracciare il valore storico che ebbe in alcuni modi di dire ancora utilizzati nella pianura bergamasca: la frase “Saltà ol foss” (saltare il fosso) in dialetto bergamasco difatti indica un trasferimento in altre unità amministrative o politiche, ma anche un radicale cambio di vita. Questo in riferimento anche ai numerosi malviventi che, ricercati nell’uno o nell’altro Stato, stazionavano nella zona liminare praticando il brigantaggio, pronti a saltare il fosso per garantirsi l’impunità. Le rive del fosso erano costellate da croci di legno per ammonire chi volesse provare a varcare il confine con intenzioni criminose.
Non sempre però lungo il Fosso i contrabbandieri rischiavano realmente la vita gestendo i loro torbidi affari: la penuria di cereali costituiva nei secoli passati una minaccia costante e i raccolti abbondanti lasciavano spesso il passo a quelli magri, ragione per cui fino all’inizio dell’età contemporanea l’approvvigionamento dei cereali rappresentò una preoccupazione costante per i governanti. Gli unici rimedi in grado di alleviare i forti disagi e la disperazione provocati delle carestie erano accumulare scorte, regolamentare i mercati e chiudere gli occhi davanti ai contrabbandieri di cereali che, introducendo grani ‘forastieri’, fornivano un prezioso servizio alle autorità, scongiurando almeno in parte la morìa di contadini e poveri e le sommosse popolari. Questo soprassedere sulle attività di contrabbando diventa paradossale se messa nero su bianco dal Capitano di Bergamo in persona Giovanni Da Lezze, uomo di primo piano nella politica veneziana – sarà nominato podestà di Brescia nel 1608. Nel 1596 egli compila la Descrizione di Bergamo in cui si legge: “La provisione de’ formenti et altri grani nella città di Bergamo è in tutto differente dalle altre città”. Dal momento che il territorio bergamasco è naturalmente poco fertile risulta necessario un sistema basato sulla libera circolazione delle derrate. Da Lezze raccomandava dunque che non fosse istituita «prohibitione alcuna in materia di biave per via di proclama per non spaventar i conduttori» e i numerosi contrabbandieri che agivano costantemente tra il Milanese e la città di Bergamo. Anziché essere perseguiti, essi andavano invece «accarezzati et favoriti» attraverso la concessione del porto d’armi che sarebbe servito, in realtà, a proteggerne l’azione una volta addentratisi nel territorio del Ducato dove il rischio di essere fermati e condannati si faceva concreto.